HOPE guida all’ascolto

Hope, Speranza è il titolo dell’album numero 24 di Fabrizio Poggi scritto, pensato e suonato a quattro mani con il grande pianista, compositore e arrangiatore Enrico Pesce. Qualcuno ha detto che se c’è qualcosa che vale la pena di portarsi appresso per tutta la nostra vita, questa cosa è la speranza. Ernest Hemingway scriveva invece: “… La pioggia si fermerà, la notte finirà, il dolore svanirà. La speranza non è mai così persa da non poter essere trovata…”. C’è una preghiera antica e nuova che recita: “La speranza ti preceda sempre e ti apra tutte le porte, soprattutto quelle delle stanze in cui la tua vita è rimasta intrappolata”. Nel film, bellissimo, “Le ali della libertà” uno dei protagonisti dice: “La paura può farti prigioniero, la speranza può renderti libero”.
Partendo da questi presupposti Fabrizio Poggi e Enrico Pesce propongono una nuova tela da dipingere, un nuovo film in cui chi ascolta diventa il regista, una pagina vuota in cui ognuno scrive la propria storia e un pezzo di creta da plasmare attraverso le emozioni che questo lavoro ispirerà. Anche questo è quindi un disco quasi cinematografico con il pianoforte e l’armonica a cui è affidato il compito di sottolineare scenari immaginari che ognuno può creare nello spazio emozionale della propria anima. D’altronde l’esperienza nel campo delle colonne sonore di Enrico Pesce è ben nota, così come la sua voglia di sperimentare linguaggi sempre diversi e in qualche modo nuovi. Fabrizio Poggi e Enrico Pesce ripercorrono a modo loro la strada già tracciata da Nina Simone, John Lewis del Modern Jazz Quartet, Oscar Peterson e Keith Jarrett, grandi artisti che hanno saputo creare una combinazione di blues, jazz e musica classica sorprendente e meravigliosa.
Il pianoforte di Enrico Pesce ricorda a tratti il suono magnetico ed evocativo di Hosea Lee Kennard straordinario e misconosciuto pianista di Howlin’ Wolf.
L’armonica di Poggi, come sempre rigorosamente acustica, antica e moderna allo stesso tempo, è il filo rosso che unisce il blues del Mississippi alle vibrazioni sonore del mondo contemporaneo.

Insieme Poggi e Pesce percorrono un intrigante sentiero già percorso da tanti grandi musicisti prendendo qualcosa dal passato per creare qualcosa nel futuro. In ciò è racchiusa l’essenza di una musica immortale come il blues.

Questo disco mette a contatto musicisti di grande esperienza e giovani talenti come per passare un ideale testimone tra le generazioni rinnovando un sound che non ha età e che è destinato a vivere per sempre…
Qualche parola sui prestigiosi ospiti che con la loro presenza arricchiscono la tavolozza sonora dell’album:
Sharon White: da vent’anni back vocalist di Eric Clapton, ha cantato con tanti grandi tra cui Annie Lennox, Bryan Ferry e Paul McCartney (solo per fare qualche nome);
Emilia Zamuner: giovane e straordinaria cantante jazz napoletana che vanta un duetto con Bobby McFerrin e numerosi riconoscimenti internazionali;
Hubert Dorigatti: virtuoso della chitarra blues, jazz e ragtime e ottimo cantante e compositore è uno dei nomi di punta del blues europeo e non solo…

Il messaggio ben si evince dalle parole di Fabrizio Poggi e Enrico Pesce: “Hope è un disco che sin dal titolo, in un momento così difficile, vuole essere d’aiuto per guarire l’amarezza, l’afflizione, l’avvilimento e lo scoramento che spesso si insinuano dentro di noi, come un male oscuro. E abbiamo cercato di farlo con una musica e con delle parole che trasmettano conforto, consolazione, fiducia, sollievo ma soprattutto speranza”. Un disco in cui i due musicisti, come ben rappresentato nella bella foto di copertina di Mauro Negri, vogliono con le loro canzoni abbracciare il mondo e uscire dal buio verso la luce.

Le canzoni:

1. Every life matters
L’incessante impegno per i diritti civili che contraddistingue Fabrizio Poggi trova il suo naturale respiro in “Every life matters” il brano originale che apre il disco. Ecco le parole scritte da Fabrizio su una musica e una melodia appositamente composte da Enrico Pesce, parole che assumono un significato ancor più profondo nelle pieghe afroamericane della voce ospite di Sharon White: “So che è difficile ma ti prego, non arrenderti, ce la faremo, io credo ancora nel sogno di Martin Luther King. Ricordati: possono uccidere il sognatore, ma non potranno mai uccidere il suo sogno. Ogni vita è importante. E ogni canzone. Puoi mettere in prigione chi canta una canzone, ma non puoi mettere in prigione una canzone. Perché ogni canzone è importante. Ogni canzone, ogni vita”.

2. Leave me to sing the blues
E’ un omaggio alla musica europea che risuonava nelle stanze delle grandi case padronali che sovrastavano le piantagioni di cotone. E’ una rilettura in chiave blues e jazz di una celebre aria del Settecento che si avvale di un’inedita scrittura pianistica di Enrico Pesce. Con l’aggiunta di nuove liriche il brano si è trasformato in un antico canto di libertà dalla schiavitù: “Lasciami cantare il blues, lascia che mi disperi, lasciami piangere di dolore durante il mio lungo viaggio verso la libertà…”

3.Hard times
“Hard Times (come again no more)” è stata composta da Stephen Foster nel 1854 ma sembra scritta ieri. E’ stata una delle prime canzoni ad essere incisa nel 1905 con il fonografo a cilindro inventato pochi anni prima da Thomas Edison.
“… Fermiamoci a contare le lacrime e a condividere il dolore con la povera gente. C’è una canzone che risuona nella nostra mente: oh tempi duri, non tornate mai più… Per troppi giorni avete indugiato davanti alla porta della mia baracca: oh tempi duri, non tornate mai più…”. Stephen Foster è conosciuto come “il padre della musica americana” e negli Stati Uniti è considerato il più celebre compositore e scrittore di canzoni dell’Ottocento.

4. Motherless child
“Motherless child” (o Sometimes I feel like a motherless child) è uno spiritual che risale all’era della schiavitù negli Stati Uniti, quando era pratica comune vendere i figli degli schiavi. La canzone, secondo gli studiosi, è una chiara espressione di dolore e disperazione e trasmette l’assenza di speranza di un bimbo strappato ai suoi genitori. Al significato letterale del testo se ne può aggiungere uno metaforico. Come non leggere in quelle parole il lamento dello schiavo separato dalla madre terra africana? Una canzone disperata ma colma di speranza.

5. Goin’ down the road feelin’ bad
In “Goin’ down the road feelin’ bad” la milonga incontra il blues, segno del lungo percorso della musica nera attraverso tutto il continente americano. Il titolo originale che evoca la solitudine del viaggiatore in fuga da un’esistenza grama era “Lonesome road blues” e sembra che fosse cantata sia dai poveri mezzadri bianchi che dai prigionieri neri incarcerati ingiustamente nelle famigerate galere del Sud.

6. My story
Suggestivo, intenso e profondo preludio composto da Enrico Pesce e tratto dalla soundtrack di un cortometraggio da lui scritto e diretto nel 2005.

7. I’m leavin’ home
“I’m leavin’ home” scritta interamente da Fabrizio, è cantata in duetto con Sharon White. La canzone si adagia con dolcezza su un prezioso e originale arpeggio pianistico di Enrico. Ecco cosa scrive Poggi a proposito di “I’m leavin’ home”: “… Per scriverla mi sono ispirato al “ring shout”. Si tratta di una danza cantata di origine africana che gli schiavi eseguivano per ore sino allo sfinimento. Un rituale segreto, estatico e trascendente in cui i partecipanti si muovevano in cerchio, trascinando e battendo piedi e mani come fossero antichi tamburi. E’ nel “ring shout” che si trovano le radici del blues e del jazz. E’ una sorta di “mantra” meditativo in cui la ripetizione di una parola o di un verso diventa uno strumento così potente da riuscire ad elevare e guarire ogni spirito. “Sto lasciando la mia casa” è forse il testo più breve tra quelli che ho scritto – continua Poggi – ma nella forza di queste poche parole sono racchiuse mille suggestioni. Quella semplice frase apre la porta a una miriade di significati in cui ognuno può riconoscere il proprio…” .

8. The house of the rising sun
“The house of the rising sun” (in origine “The rising sun blues”) collega i postriboli di New Orleans alle case di tolleranza della Napoli degli Anni Venti del Novecento. In quei luoghi spesso si ritrovavano rispettivamente i grandi musicisti di jazz e i grandi compositori napoletani. Un sound ipnotico e sensuale tra peccato, redenzione e spiritualità che da sempre animano lo spirito della musica black.

9. I shall not walk alone
“I shall not walk alone” è un brano di Ben Harper che Fabrizio ha suonato tante volte, sempre con grande emozione, con i Blind Boys of Alabama, sottolineando con la sua armonica la voce del leggendario Jimmy Carter.

10. Nobody knows the trouble I’ve seen
“Nobody knows the trouble I’ve seen” è stata pubblicata per la prima volta nel 1867 ma secondo gli studiosi è stata creata dagli schiavi almeno cent’anni prima. E nessuno sapeva davvero le tribolazioni che dovette passare e vedere con i propri occhi il popolo afroamericano piegato a raccogliere cotone negli sterminati campi del sud degli States. Il brano ha un’inaspettata connessione con il nostro paese: nel film “Paisà” di Roberto Rossellini, uscito nel 1946 in cui si rievoca l’avanzata delle truppe alleate in Italia, un soldato americano di colore canta “Nobody knows” a un piccolo scugnizzo italiano che lo accompagna con l’armonica a bocca.

11. Song of hope
Il messaggio di speranza si sente forte e chiaro anche nel brano “Song of hope” posto a chiusura dell’album e scritto con Enrico Pesce: “Quando ti sentirai solo, triste e amareggiato, suonerò questa canzone per te. Quando intorno a te vedi solo oscurità, posso essere la tua luce, esserti amico e attraversare il buio con te… Sarò al tuo fianco a cantare questa canzone di speranza, per te e per me”.
Una canzone che sembra racchiudere il lungo cammino percorso da Fabrizio nella sua carriera, un percorso fatto (come è nel suo stile) di classici del blues, vecchi spiritual, antiche canzoni e melodie senza tempo.

1 Every life matters (Fabrizio Poggi – Enrico Pesce)
2 Leave me to sing the blues (Fabrizio Poggi – Enrico Pesce)
3 Hard times (Stephen Foster)
4 Motherless child (traditional)
5 Goin’ down the road feelin’ bad (traditional)
6 My story (Enrico Pesce)
7 I’m leavin’ home (Fabrizio Poggi)
8 The house of the rising sun (traditional)
9 I shall not walk alone (Ben Harper)
10 Nobody knows the trouble I’ve seen (traditional)
11 Song of hope (Fabrizio Poggi – Enrico Pesce)

Fabrizio Poggi vocals, harmonica
Enrico Pesce piano

with
Sharon White vocals on “Every life matters” and “I’m leavin’ home”
Emilia Zamuner vocals on “Motherless child”
Hubert Dorigatti guitar
Jacopo Cipolla upright and electric bass
Marialuisa Berto percussion
Giacomo Pisani percussion

Arranged by Enrico Pesce
Recorded, mixed and mastered by Giuseppe Andrea Parisi
Produced by Fabrizio Poggi with Enrico Pesce, Giuseppe Andrea Parisi, Angelina Megassini
Logistics and organization Angelina Megassini

Front cover picture and art: Mauro Negri
Graphics: Manuela Huber
Fabrizio Poggi plays Hohner Harmonicas
Fabrizio Poggi wears The Blues Foundation hat

in loving memory of Jean Franco Formiga (1999 – 2021)