Discovering the holy sites of Delta…

Discovering the holy sites of Delta and Chicago Blues

di Fabrizio Poggi
Sunflower River Blues & Gospel Festival, i “luoghi sacri del blues”, Chicago

“Il Delta è un mondo a parte nel sud degli States, anzi è addirittura qualcosa a se stante persino nello stato del Mississippi. E’ un posto dove neri e bianchi hanno imparato a convivere pacificamente condividendo i momenti di gioia collettiva…Se sei una persona con la mente aperta e sensibile alle cose che ti circondano e ti capita di passare per il Delta, il Blues ti cambierà per sempre…La musica di queste parti sembra venire fuori dalla terra dei campi e dalla polvere delle strade: il blues è negli alberi, nell’erba, nel modo in cui la gente cammina e parla, nelle cose che si mangiano, nell’aria che respiri…”

Queste sono le parole che Charlie Musselwhite il leggendario armonicista, originario del Mississippi ha usato per descrivere la sua terra d’origine. Questo è il motivo che lo spinge ogni anno a “tornare a casa”, per suonare in quello che lui definisce “il più bel festival blues del mondo”: il Mississippi Sunflower River Blues & Gospel Festival”.

Chi state leggendo invece voleva in qualche modo ritornare alle radici della musica che ha prima ascoltato, e poi portato sulle strade d’Italia e del mondo, voleva tornare in qualche modo a quell’arte musicale che più di ogni altra ha influenzato la musica moderna: il blues; e per fare questo c’era un solo modo possibile: andare al Sunflower Festival il 12 e il 13 agosto, sfidare il caldo infernale che contraddistingue l’estate nel Sud degli Stati Uniti e passare un po’ di tempo “nella terra del blues”, a Clarksdale e dintorni, in Mississippi, là dove sono nati coloro che hanno fatto del blues una musica universale: Muddy Waters, John Lee Hooker, Robert Johnson, Charlie Patton, Son House, Howlin’ Wolf, B.B. King, Rice Miller ovvero Sonny Boy Williamson II e tanti altri.

La settimana precedente il Festival ha avuto un preludio di tutto rispetto: infatti, al Ground Zero, il blues club più famoso del Mississippi che ha tra i suoi proprietari il bravissimo attore afroamericano Morgan Freeman, si sono svolte le riprese di un film televisivo (ma speriamo presto anche cinematografico) dove a fare da protagonisti sono stati chiamati i bluesmen più rappresentativi della scena musicale del Mississippi di ieri e di oggi. “Native sons”, questo il nome del progetto, ha visto coinvolti sul palco del Ground Zero in concerti veri e propri, con tanto di pubblico in delirio, artisti del calibro di Kenny Brown, Willie King (davvero strepitoso con la brava Debbie Bond alla chitarra e l’altrettanto efficace Rick Asherson alle tastiere e all’armonica). Willie King nato sul confine tra Alabama e Mississippi è oggi uno degli esponenti di spicco del suono grezzo e sensuale tanto apprezzato dagli afroamericani negli autentici juke joint del profondo sud degli States. A seguire, nei giorni seguenti, l’inimitabile Super Chikan (il piu bravo songwriter di Clarksdale e probabilmente dell’intero Mississippi), e il bravissimo Bobby Rush che oltre ad essere il miglior esponente del cosiddetto “chitlin circuit” (gli autentici e genuini locali per afroamericani, ma non solo, del Mississippi e dintorni), si sta rivelando uno showman d’eccezione (ma questa non era una novità) e un cantante e armonicista di notevole caratura. A chiudere in bellezza il film, il ben ritrovato Big George Brock da St. Louis leggendario cantante e armonicista passionale ed e coinvolgente, l’altrettanto bravissimo Big Jack Johnson una vera e propria icona blues a Clarksdale che è diventato famoso internazionalmente per il prezioso lavoro svolto nei superlativi Jelly Roll Kings dell’indimenticabile Frank Frost e i fantastici: David “Honeboy” Edwards, Pinetop Perkins e Sam Carr che nonostante l’età avanzata (il primo ha novant’anni, il secondo novantatré!) hanno dato vita ad uno spettacolo davvero da brividi. Vedere e sentire da vicino queste autentiche leggende viventi suonare con una grinta e una passione davvero inaspettate, è qualcosa che resterà per sempre nel mio cuore. A fare da corona alle esibizioni musicali sono stati organizzati al Ground Zero un paio di interessanti incontri: uno con Dick Waterman, sicuramente il più bravo e conosciuto fotografo blues, autentica miniera di informazioni a proposito della “musica del diavolo” e i suoi protagonisti; l’altro con Robert Gordon eccellente ricercatore e scrittore musicale del quale ricordiamo la bellissima biografia da lui scritta sul grande Muddy Waters. Nelle riprese del film era programmata anche la presenza del grande Little Milton che purtroppo inaspettatamente è venuto a mancare proprio nei giorni precedenti l’evento, tracciando un velo di tristezza e di malinconia nell’anima dei suoi tanti estimatori che lo aspettavano per dimostrargli lo straordinario affetto che da sempre nutrono per la sua, oggi indimenticabile musica.

Sono ancora comunque tante le emozioni che aspettano gli appassionati di blues e di gospel perché venerdì 12 agosto comincia il Sunflower River Blues & Gospel Festival che come ogni anno è dislocato in quattro luoghi: il palco principale, ricavato dal deposito merci dell’ormai chiusa stazione ferroviaria di Clarksdale, oggi trasformata nel Delta Blues Museum (da li è partito tanti anni fa Muddy Waters per andare a cercare fortuna a Chicago), due stages dedicati alla musica acustica collocati in punti strategici della cittadina e l’auditorio civico per una volta trasformato in una grande chiesa dove si esibiscono i gruppi di gospel. Ovviamente, elencare tutti i bravissimi artisti che si sono esibiti al festival è quasi un’impresa titanica, mi soffermerò allora sulle esibizioni che per un motivo o per l’altro hanno lasciato un segno indelebile nella mia emotività musicale. Va detto innanzitutto che la “line up” del festival è basata soprattutto su artisti locali o comunque operanti nel Mississippi e dintorni, questo crea qualcosa di davvero unico nel panorama delle manifestazioni blues statunitensi, ovvero qui si può davvero ascoltare ancora qualcosa di autentico e incontaminato, cioè la musica che suonano oggi i musicisti che vivono e respirano “l’humus musicale” che ha formato Robert Johnson e Sonny Boy Williamson e tanti altri maestri del blues.

Le esibizioni che mi hanno maggiormente colpito il venerdì, giornata praticamente tutta dedicata al volto femminile della musica afroamericana, sono state quelle di Barbara Looney accompagnata dal talentuoso Mickey Rodgers già prezioso collaboratore di Bobby Rush e dell’indimenticabile armonicista Willie Foster; Geneva Red ottima armonicista e cantante nonché eccellente showwoman, e Shirley Brown davvero emozionante nel raccontare le sue storie in musica tra blues, soul, commozione e gioia. Interessante anche l’esibizione di due giovani ma già brave cantanti originarie proprio di Clarksdale: Vanessia e Fazenda Young il cui show lascia presagire un futuro sicuramente roseo per le ragazze e per il loro gruppo i Pure Blues Express.

La serata di sabato è stata conclusa dall’artista più atteso in città: il grande armonicista Charlie Musselwhite, autentica leggenda vivente, persona simpatica e gioviale che ha vinto la bellezza di 18 Oscar del blues come migliore strumentista e proprietario dell’unica casa dipinta di blu che c’è a Clarksdale (che secondo alcune voci, non confermate, potrebbe diventare presto un altro prezioso blues club). L’esibizione del grande Charlie è stata come sempre impeccabile e il nostro ha sciorinato buona parte dei migliori brani del suo repertorio ben supportato da un’ottima band in cui spiccava un giovane ma già ottimo chitarrista.

Naturalmente prima del concerto di Musselwhite il festival ha avuto altri momenti di grande musica che ha raggiunto livelli elevatissimi con la presenza di “Honeboy” Edwards (l’uomo che era a suonare con Robert Johnson la notte che quest’ultimo è stato avvelenato e il generoso musicista che ha consigliato ad Alan Lomax nel 1942 di andare a registrare quello che secondo lui era il miglior bluesman di Clarksdale: Muddy Waters), lo strepitoso concerto di James “Super Chikan” Johnson,

James “Super Chikan” Johnson

James “Super Chikan” Johnson

favoloso musicista e bravissimo pittore e scultore di “folk art” (incredibili le chitarre che ricava dalle taniche della benzina!), accompagnato da una eccellente band tutta al femminile. Ottime, anche le esibizioni di Big T & The Family Blues Band e di Kenny Brown (notevole chitarrista già fedele accompagnatore di R.L. Burnside). Bravi anche i musicisti della Razorblade Blues Band tra i quali spiccava l’impeccabile e grintoso saxofono dell’unico poeta sassofonista al mondo: il bravissimo Dick Lourie. Di tutto rispetto lo show della Wesley Jefferson Blues Band (con il trombettista che suona due cornette contemporaneamente) che ha dato vita ad uno spettacolo da autentico juke joint (d’altronde non è difficile trovare la band da Red’s uno dei blues club più autentici e ruspanti di Clarksdale (dove ha suonato la sua armonica anche il vostro umile reporter in compagnia di Bill Abel e di Lightnin’ Malcom).

Anche i palchi acustici hanno offerto autentiche perle musicali agli accaldati ma felici partecipanti al festival. Davvero notevoli le esibizioni di Robert Belfour e di Terry “Harmonica Bean”, (conosciuti entrambi nel nostro paese grazie agli amici del Roots & Blues Festival) e particolarmente interessanti mi sono parsi i concerti di Eddie Cusic, Louis “Gearshift” Youngblood e Pat Thomas. Suggestiva anche la marchin’ band composta da flauti e tamburi guidata da Shardee nipote del grande e purtroppo scomparso Othar Turner. Un cenno particolare va a Mr. Tater “the music maker” (il cui vero nome è Foster Wiley), il cui particolare stile di blues certamente non mancherà di colpire chiunque si trovi a passare per Clarksdale. Un personaggio davvero unico, che ha raccolto cotone e conosce bene le dure esperienze che hanno forgiato il blues.

A corollario del festival un importante incontro–seminario tenuto da Charlie Musselwhite sulle sue leggendarie esperienze musicali e sul Mississippi di ieri e di oggi. A condurre l’intervista l’infaticabile Panny Mayfield, responsabile anche dei rapporti con la stampa e davvero straordinaria nel tenere le redini di una manifestazione di tali dimensioni. Una persona davvero notevole alla quale va gran parte del merito dell’eccellente riuscita del festival che quest’anno ha raggiunto la vetta delle 25000 presenze.

Anche il Festival del Gospel ha avuto un successo strepitoso. Melville Tellis, uno degli organizzatori di questa parte della manifestazione ha dichiarato alla stampa che nell’auditorium erano stipate all’inverosimile più di 1400 persone. Quasi inutile dire che il livello qualitativo dei gruppi è stato elevatissimo e tutti gli artisti hanno saputo coinvolgere ed emozionare i presenti con abilità e passione. Davvero simpatiche e alla mano, tutte le persone coinvolte nell’organizzazione del festival, che mi sento di ringraziare di tutto cuore per i bei momenti che mi hanno fatto passare da quelle parti.

A fine festival il viso stanco ma dall’espressione felice di John Sherman dimostrava tutta la soddisfazione di chi ha saputo organizzare un festival dove le esperienze umane e quelle musicali sono legate da un filo di emozioni difficilmente districabile.

Ultima notizia legata al Festival la consegna di un premio intitolato a Early Wright (il primo disc jockey afroamericano a trasmettere blues nel Mississippi dalle antenne della mitica WROX nel lontano 1947) a Claude Johnson, figlio di Robert Johnson il leggendario bluesman.

Ma non finisce naturalmente qui, perché dalle 10 del mattino alle 6 di sera di domenica 14 agosto davanti all’ingresso di Cat Head il negozio di dischi e di folk art (talmente bello da togliere il fiato) di proprietà di Roger e Jennifer Stolle, si è svolto un “mini” blues festival, che di mini aveva solo il nome perché la musica che si è sentita è stata davvero eccellente. Prima di iniziare a descrivere il festival vorrei spendere due parole a proposito del lavoro che Roger Stolle e sua moglie stanno facendo da qualche anno a questa parte per promuovere ed aiutare concretamente gli artisti del Mississippi e la loro musica ad ottenere una meritata collocazione nel mondo del Blues. Roger oltre ad essere un competente appassionato di blues, è anche un bravo dj e un ottimo giornalista che tiene una colonna mensile sulla rivista blues più diffusa al mondo: Blues Revue. Per non farsi mancare niente il già indaffaratissimo Roger aiuta anche a livello di management parecchi musicisti di Clarksdale e dintorni. C’è una nuova vitalità in Mississippi e questo si deve sicuramente a persone come lui, come Robert Birdsong, come Jay e Priscilla Sieleman della Blues Foundation di Memphis, come Wild Bill Cooper (un eccellente pittore blues) come Veronica del Delta Eye uno dei più bei ristoranti “blues” del mondo e come Sonny Payne (che da più di cinquant’anni tutti i giorni alle dodici trasmette da Helena, Arkansas il King Biscuit Time la leggendaria trasmissione sponsorizzata da una ditta produttrice di farina, iniziata dal mitico Sonny Boy Williamson e alla quale hanno partecipato tutti i più grandi musicisti della storia del blues; e dove tremante per l’emozione ha suonato anche il vostro ancor più umile e frastornato reporter). Ritornando ai musicisti che si sono esibiti al Cat Head Festival vanno senz’altro segnalate le esibizioni di Honeboy Edwards (che in quei giorni suonava dappertutto con una voglia e una passione davvero encomiabili).

HONEYBOY EDWARDS

HONEYBOY EDWARDS

In questa occasione, forse perché più intima e raccolta, il novantenne bluesman ha sicuramente regalato ai fortunati ascoltatori la sua performance migliore. Grande alla voce e all’armonica anche Big George Brock non solo di nome ma anche di fatto e realmente efficace la sua band. Tra l’altro Cat Head gli ha prodotto l’ultimo album: “Club Caravan” dove si respira davvero l’aria che probabilmente circolava nelle sale di registrazione dove Muddy Waters e Howlin’ Wolf hanno fatto la storia del blues. Un plauso particolare va a Little Jimmy Reed che nonostante l’ingombrante nome d’arte, si è saputo ritagliare uno stile personale e accattivante. Bravo e simpaticissimo Paul “Wine“ Jones accompagnato per l’occasione dall’ottimo chitarrista slide Bill Abel e dalla sua band. La sua esibizione ha dato spunto a chi aveva voglia di ballare e il marciapiede del Delta Avenue si è trasformato quasi per magia in un vero juke joint del Mississippi, con signore attempate e giovanissime ragazzine che danzavano come è tradizione da quelle parti, al suono della musica del diavolo. A chiudere il tutto un bluesman d’eccezione di cui ho già parlato, uno degli esponenti di punta del “nuovo” Delta blues e cioè l’eccellente Robert “Wolfman” Belfour. Per concludere questo reportage, scritto soprattutto con l’intento di farvi venire la voglia di correre in Mississippi l’anno prossimo, va ricordato che durante la settimana che precede il festival nei blues club della città c’è la possibilità di ascoltare grandissimi artisti che per un motivo o per l’altro non sono stati inseriti nel programma del festival. Al Red’s Lounge, nello stesso negozio di Cat Head, al Delta Blues Room, al Delta Amusement Cafè, al Messenger’s, alla Hopson Plantation, al Sarah’s Kitchen e naturalmente al Ground Zero dove la gente spesso si rifugia per avere un attimo di pausa e un po’ di frescura lontano dai “roventi” palchi del festival, c’è a volte l’occasione di ascoltare musicisti di gran pregio come Bill “Howl-N-Madd” Perry, che ha invitato sul palco il sottoscritto e la sua armonica che si è così potuto commuovere suonando tre o quattro brani nel juke joint più famoso del mondo. Tutto questo a Clarksdale, Mississippi “là dove è nato il blues”.

Nel Delta del Mississippi dove il blues ha mosso i suoi primi passi, non c’e luogo che non sia legato, in qualche modo, al mondo della musica del diavolo, ai suoi musicisti, alle sue leggende, ai suoi miti. Le emozioni cominciano ad Helena, Arkansas che sembra un posto lontano dal Mississippi ed invece è appena al di là di un ponte sul grande fiume. In questa cittadina è nata nel 1941 la prima trasmissione dedicata al blues, la famosa “King Biscuit Time” per merito di un gruppo di musicisti destinati a fare la storia del blues: Sonny Boy Williamson II, Robert Jr. Lockwood, Pinetop Perkins, Johnny Shines, Peck Curtis e tanti, tanti altri. E la trasmissione è ancora “viva e vegeta” come già vi ho raccontato.

Certo, la vecchia sede della radio, la KFFA, non c’è più, ma tutti i giorni feriali al Delta Cultural Center dalle 12.15 alle 12.45 sembra davvero di ritornare, anche se solo per mezz’ora, all’epoca d’oro in cui quella trasmissione veniva ascoltata in tutto il Sud degli States influenzando musicisti del calibro di Muddy Waters, B.B. King, James Cotton, Little Walter e tanti altri bluesmen destinati a cambiare il corso della musica moderna.

Lo stesso Delta Cultural Center è un museo del blues coi fiocchi con fotografie rarissime, grandi pannelli esplicativi e preziosissimi cimeli appartenuti ai grandi del blues. Fa naturalmente una certa impressione vedere le armoniche, i microfoni e le chitarre che sono state usate per incidere i nostri brani preferiti. Ci si emoziona, davvero, nel visitare questo posto dove tante cose che si sono solo immaginate, quasi per magia, prendono forma per colpirti al cuore, nel profondo dei tuoi sentimenti. Anche farsi un giro alla Gist Music Company, da sempre l’unico negozio di strumenti musicali della città è una specie di “must”. Incontrare l’uomo che ha venduto qualche armonica a Sonny Boy Williamson e le corde della chitarra a Robert Junior Lockwood fa comunque una certa impressione. Morris Gist è veramente una persona gentile e cordiale, che ti fa accomodare, ti offre il caffè e incomincia a raccontarti di quei giorni in cui un programma radiofonico sponsorizzato da una ditta che vendeva farina cominciava a diventare leggenda.

Non molto lontano da lì c’è l’Eddie Mae Cafè dove il grande armonicista Frank Frost aveva stabilito la sua casa e proprio nel piccolo cimitero della comunità afroamericana di Helena c’è il luogo dove riposerà per sempre.

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La sua tomba è accanto a quella di un altro grande uomo di blues Robert Nighthawk, padre di Sam Carr. Il genitore del grande batterista dei Jelly Roll Kings ha avuto praticamente due carriere completamente distinte: una come armonicista di jug bands con il nome di Robert Lee McCoy e un’altra come chitarrista con l’appellativo appunto di Robert Nighthawk. Interessante, sempre ad Helena, anche il negozio di dischi di Bubba Sullivan, vera miniera d’oro per chi cerca dischi di blues rari e “introvabili”. Tornando verso il Mississippi, verso il cross road dove la highway 61 incontra la 49, non si può fare a meno di pensare a quanti bluesmen si sono a fatti a piedi queste strade, all’epoca polverose, per portare la loro musica e le loro storie da un posto all’altro, anzi ogni tanto, per qualche scherzo del sole, può sembrare davvero di vedere il manico di una chitarra luccicare all’orizzonte…Ma è solo un gioco di luce , in realtà quella cosa che vedi è il segnale della highway 49, una strada che ti porta dritto a Tutwiler uno dei tanti luoghi “sacri del blues”.

E’ nella stazione di questo piccolo paesino del Delta che W.C. Handy compositore e direttore d’orchestra afroamericano piuttosto famoso a quell’epoca, ha ascoltato per la prima volta quello che qualche tempo dopo verrà chiamato blues. Era il 1903. Handy racconta nella sua autobiografia di essere rimasto piuttosto colpito da uno “straccione” nero che sfregando in modo strano un coltello sul manico della chitarra cantava con insistenza “I’m goin’ where the southern cross the dog” (sto andando dove il southern incrocia il cane). Al di là delle parole assolutamente incomprensibili anche allo stesso Handy (ma presto vi svelerò il loro significato), quello che colpì il famoso musicista fu quel suono grezzo ma emozionante prodotto dalla chitarra e dalla voce di quell’uomo. Il compositore andrà poi in giro a raccontare di essere lui “il padre del blues”, noi sappiamo che non è così, e comunque questa è un’altra storia.

A Tutwiler c’è anche qualcosa che desideravo davvero visitare da non so quanto tempo: la tomba di Sonny Boy Williamson II.

MURALES

Probabilmente il più famoso armonicista blues del mondo, Sonny Boy, con i suoi racconti e le sue canzoni, mi ha sempre affascinato più di ogni altro musicista blues. La sua voce piena di emozione e la sua armonica “dolce come il miele e tagliente come un rasoio” hanno ispirato tantissimo la mia “storia” di musicista. Sostare in silenzio per qualche attimo e posare una vecchia armonica sulla sua tomba è una cosa che resterà nel mio cuore, per sempre.

SONNY_BOY

Good bye Sonny Boy. Proseguendo sulla Highway 49, si passa Beulah, famosa perché lì c’è il cross road usato per il famoso film del 1986 e si arriva alla Dockery Plantation, il luogo dove si dice che per merito del grande Charlie Patton, che lì lavorava, sia nato il blues. In realtà, la gente del posto, mi ha raccontato che il papà di Charlie era un mezzadro di colore che possedeva della terra che confinava proprio con la fattoria dei Dockery. E’ quindi, secondo le mie fonti, molto più probabile che il grande bluesman che ha ispirato centinaia di musicisti, si recasse alla sera, dopo aver lavorato nella piantagione del padre, alla vicina fattoria dove si incontrava con altri musicisti tra cui, Henry Sloan, che sembra sia stato l’uomo che gli ha insegnato i primi rudimenti di ciò che Patton trasformerà nella musica del diavolo. Sette miglia a nord della 49 c’è il piccolo paesino di Glendora, famosa per aver dato i natali al grande Sonny Boy Williamson. C’è una vecchia targa arrugginita all’inizio del paese che ricorda l’illustre concittadino.

Ma è a Greenwood che buona parte delle leggende più conosciute intorno al blues trovano il loro posto ideale. E’ infatti questa la cittadina dove Robert Johnson ha passato l’ultima parte della sua breve vita. Non lontano dalla città c’era il juke joint dove è stato avvelenato a morte da un marito geloso. Il “Three Forks”, questo il nome del famigerato locale, oggi non c’è più, è andato distrutto in un incendio. E’ rimasta soltanto la sua insegna che campeggia nel Delta Blues Museum di Clarksdale. Sempre nei dintorni di questa cittadina di ventimila abitanti c’è il luogo dove riposano le spoglie mortali del grande bluesman. Per dirla tutta, sono tre i luoghi dove si dice sia stato seppellito Robert Johnson: uno si trova a Quito e l’altro a Morgan City, però in tempi relativamente recenti si è trovata addirittura la fidanzata dell’uomo che ha seppellito il giovane bluesman. Rosie Eskridge ha raccontato che il giorno della sepoltura portò un panino al proprio fidanzato che stava scavando una buca sotto un grande albero accanto alla piccola chiesetta di Zion e, quando chiese al fidanzato chi dovesse essere seppellito in quella tomba, lui rispose che si trattava di un bluesman di nome Robert Johnson. In effetti, tutto sembra concordare con il racconto della signora e, comunque sia, vi assicuro che suonare un vecchio blues lento accanto alla tomba del grande bluesman è una cosa che mette davvero di brividi e ti bagna gli occhi per la commozione.

Tantissimi sono i muri del Delta del Mississippi coperti da stupendi murales a carattere musicale e più propriamente blues. Sono davvero stupendi e danno proprio l’idea di come questa musica sia vissuta da quelle parti. Forse i più belli in assoluto si trovano a Leland, dove c’è anche un interessantissimo museo: l’Highway 61 Blues Museum dedicato appunto al blues che si è suonato per anni sull’“autostrada del blues”. Ma prima di tornare sul mitico “nastro d’asfalto” raccontato da tantissime canzoni e protagonista assoluto di migliaia di film e libri dobbiamo svelare un mistero fermandoci nel paesino di Moorhead. Proprio qui era diretto il bluesman ascoltato da W.C. Handy alla stazione di Tutwiler. Il musicista che cantava “I’m goin’ where the southern cross the dog” (sto andando dove il southern incontra il cane) si riferiva proprio al punto in cui le linee ferroviarie della Southern (tuttora in attività), si incrociavano con quelle della Yazoo Delta (soprannominata Yellow Dog -cane giallo- per via delle sue iniziali), oggi scomparsa. I binari dell’intersezione però esistono ancora ed è difficile andarsene senza aver preso un pezzo di legno dai binari come ricordo delle mitiche ferrovie sui cui tetti dei vagoni hanno viaggiato migliaia bluesmen vagabondi.

Alla stazione dei pullman della Greyhound a Clarksdale, Mississippi ci sono solo persone di colore. Guardando meglio ci sono anche due macchie bianche nella sala d’aspetto: siamo io e l’Angelina. Chi se lo può permettere, ormai anche qui, nel Mississippi, prende l’aereo, il bus è per “l’altra America”. Il “Greyhound” ha, inspiegabilmente, tre ore di ritardo e l’aria condizionata della sala d’aspetto non funziona neanche tanto bene.

Sembra la scena di un film eppure vi assicuro che è tutto vero, purtroppo.

Poi finalmente il bus arriva e da Clarksdale, Mississippi proseguendo sempre dritti sulla 61 si arriva nel cuore di Chicago viaggiando sulla stessa strada che prima di me è stata percorsa da milioni di afroamericani alla ricerca di quel “sogno americano”, oggi lacero e consunto.

Chicago è una città pulsante e vitale, ma è una metropoli che forse per via dell’immenso lago Michigan e del bellissimo parco che lo circonda, non ti spaventa con i suoi enormi grattacieli e il suo traffico infernale ma, al contrario, ti sa anche offrire aspetti piacevoli e quasi rilassanti, inaspettati in un luogo di tali dimensioni.

Naturalmente il blues è quasi una “piccola cosa” all’interno di una città come Chicago e, purtroppo, i tempi d’oro in cui Muddy Waters e Howlin’ Wolf erano i re del south side sono andati. Il mercato ebraico di Maxwell Street dove iniziavano il loro “tirocinio musicale” tutti i bluesmen che arrivavano dal Mississippi è stato raso al suolo e spostato a Canal Street. Il mercatino, per la verità, ha ancora un suo fascino e c’è sempre della buona musica per le strade, ma non è più, ovviamente, la stessa cosa. Molti “luoghi sacri” del blues non esistono più: sono stati abbattuti o li hanno chiusi, per sempre. Nonostante tutto, qualcosa di vivo è rimasto del blues che si suonava a Chicago. A parte il bellissimo festival che si tiene a giugno nello splendido parco che si affaccia sul lago Michigan, qualcosa è rimasto a ricordare l’epoca d’oro del Chicago blues. Al 2120 di South Michigan, dove un tempo c’erano i mitici studi della Chess Records e dove quindi hanno registrato praticamente tutti i più grandi bluesmen del passato, sorge ora la Blues Heaven Foundation voluta dal leggendario Willie Dixon, indimenticabile autore di almeno cinquecento classici del blues. Questo magico luogo oltre a contenere cimeli dell’epoca come vecchi registratori e foto storiche è anche la sede di un’associazione che si occupa di aiutare i musicisti blues in difficoltà. L’atmosfera che si respira in questo posto ha davvero qualcosa di speciale, tanto è vero che ancora oggi, gruppi musicali non solo blues affittano alcune stanze per effettuare delle registrazioni (magari con la speranza di poter catturare l’anima di Muddy Waters su di un nastro magnetico…).

Per vivere comunque la Chicago del blues bisogna però aspettare che “calino le ombre della sera”, quando i neon dei mitici blues club cominciano ad accendersi e a lampeggiare. Ai “tempi d’oro” del Chicago blues i migliori luoghi dove ascoltare la musica del diavolo si trovavano tutti nel south side della città, il quartiere afroamericano per eccellenza. Oggi, tra degrado e violenza, ben poco è rimasto: il famoso Checkerboard Lounge è chiuso e di altri locali minori non è rimasta nemmeno l’ombra. A tenere duro però c’è ancora il più autentico juke-joint della Windy City. Il Lee’s Unleaded Blues, che un tempo di chiamava The Queen Bee, è rimasto più o meno quello di un tempo: l’atmosfera è fumosa e impregnata di bourbon e di birra, è frequentato quasi esclusivamente da afroamericani e tutti ballano il blues per scacciare via le malinconie. Devo ringraziare Michael Frank della Earwig Records per avermi fatto scoprire questo posto autenticamente genuino, pieno di gente simpatica e gentile, dove suonava l’eccellente Johnny Drummer con una serie di special guest che andavano dal bravo chitarrista Walter Scott, alla divina Brown Sugar al sottoscritto che ha provato un’altra inimmaginabile emozione: suonare in un “vero” blues club del south side di Chicago per gente che sa davvero “che cosa è il blues!”.

A dire il vero, c’è un altro locale dove è possibile respirare la stessa atmosfera, anzi per certi versi, per noi italiani sembra quasi di trovarsi a casa propria, se non fosse che la qualità della musica qui è davvero ottima. Si chiama Rosa’s e si trova nella zona ovest della città. L’hanno aperto parecchi anni fa Tony Mangiullo e sua madre Rosa che, spinta dall’amore del figlio per il blues, ha lasciato senza troppi rimpianti l’Italia e ha ricominciato una nuova vita a Chicago. Rosa, che è una signora davvero squisita, gestisce insieme al figlio Tony, ottimo batterista, uno dei più prestigiosi e autentici blues club della Windy City, famoso in tutto il mondo per l’ottima programmazione musicale che offre sempre il meglio del blues internazionale.

ROSA'S

Più in centro ci sono naturalmente altri locali come il Buddy Guy Legend’s dove ho potuto ascoltare l’eccellente chitarrista slide australiano Dave Hole e dove ho avuto finalmente, dopo anni di e-mail, l’occasione di conoscere personalmente Bruce Iglauer della Alligator Records; il Blue Chicago che ha addirittura due “locations”(sebbene poco distanti tra loro), il B.L.U.E.S. e il Kingstone Mines che sono situati nella parte nord della città. Al Kingstone Mines ho potuto ascoltare uno dei più bravi armonicisti in circolazione e cioè Billy Branch preceduto da una bella esibizione acustica di Lurrie Bell figlio del famoso armonicista Carey.

Sicuramente avrò dimenticato qualcosa o qualcuno lungo la highway 61 ma la strada che porta dal Mississippi a Chicago è lunga e le esperienze così emozionanti da farti venire in mente le parole di una canzone di Robert Johnson che dice più o meno “ Seppellite il mio corpo vicino all’autostrada così i miei cattivi pensieri potranno prendere un bus della Greyhound e andarsene via per sempre…”. Per scacciare i vostri pensieri cattivi, le vostre malinconie, compratevi una armonica, a volte, funziona.